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Fedeltà del Suono Mar-Apr '97/54 Giradischi digitale Planet Andio Morotti

giradischi digitale Rega Planet

Che cosa succede quando una casa da anni famosa nel mando dell'hi-fi per i suoi giradischi analogici dall'imbattibile rapporto qualità/prezzo si decide ad immettere sul mercato un giradischi digitale? O un flop o un boom. Nel caso del Pianet, dopo le prime verifiche, siamo certi che sarò di sicuro un boom.

Quando i primi cdp vennero immessi sul mercato - e sono passati già 15 anni - i tecnici e gli audiofili si entusiasmarono per la novità tecnologica: la "lettura" a raggio laser. E così l'antica scienza della meccanica, fino ad allora incontrastata regina dei giradischi, passò immediatamente in secondo e anche in terzo piano. Basta - si disse - coi problemi delle microvibrazioni, con quelli della stabilità di rotazione e con tutte quelle decine e decine di piccoli-grandi accorgimenti che fanno di un giradischi analogico un buon giradischi analogico. Nei cdp il segnale trattato è "digitalizzato"; la lettura avviene con un sottilissimo laser che non può sbagliare, perché i segnali incisi sul disco sono solo due: 1 o 0; e poi esiste il circuito di correzione degli errori... Insomma, un grande balzo in avanti verso il futuro... e, invece, i cdp suonavano da far pena. Mi ricordo di un apparecchio - mi pare che fosse il Cambridge - che aveva installato sul frontale un led che segnalava l'intervento del circuito di correzione. Era, sic, sempre acceso. Nessun altro costruttore seguì il suo esempio... Io ero tra i pochi allora - lo dico a titolo esplicativo e non come vanto - che sostenevano che fosse impossibile che ciò che aveva senso per un disco che girava a 33,3 giri al minuto non ne avesse, forse a maggior ragione, per un cd che girava decine di volte più veloce. Laser o non laser. Insomma: bene la conversione, bene la correzione degli errori, bene il filtraggio, bene la sezione finale, ma la meccanica doveva continuare ad avere la sua importanza. La mia logica elementare di non tecnico mi suggeriva: "più va bene la lettura meno interverrà il correttore d'errori quindi il segnale sarà più simile all'originale, non generato o, come si dice oggi, "interpolato" da un circuito che, per quanto ben fatto, sì dovrà in parte "inventare" di sana pianta qualche cosa...
Col tempo, a vedere la storia dei prodotti cdp, anche i costruttori se ne convinsero; prima di loro se ne erano convinti molti audiofili che non si stancavano di "migliorare" con interventi personali i migliori cdp allora in commercio. E così presero piede i giradischi digitali a due telai, finché non fu "scoperto" il problema del jitter che rilanciò il cdp integrato.
Va beh - direte - ma tutto questo che cosa c'entra col Rega?
C'entra, c'entra - vi rispondo - perché, quando una casa come la Rega si mette a costruire un giradischi digitale, dopo non so quante migliaia di Planar, non può prendere sottogamba il problema della meccanica. Ed infatti così è stato. Ma non di sola meccanica funziona un cdp. Ci vuole anche il resto. E anche il resto c’è. A dir la verità, la Rega non si è mai rivelata un campione di modestia nella presentazione dei suoi prodotti. Era così coi Planar ed è così col Planet. Ma il suo stile mi piace, perché sa di passione e di convinzione. Per esempio, afferma chiaramente che il suo cdp è stato progettato "per essere più musicale di qualunque altro CD player". E' bello trovare un costruttore che pone come parametro pressoché unico di un suo prodotto non qualche dato tecnico, ma la "musicalità". Eppure di accorgimenti tecnologici nel Planet ce ne sono più di uno, proprio a cominciare dalla meccanica. La filosofia Rega - ormai lo sanno tutti - è sempre stata quella del giradischi rigido: tutti i Planar sono così e così è anche il Planet. Niente meccanica sospesa, quindi: l'apparecchio è isolato solo attraverso quattro piedini realizzati col sistema VCS (Viscous Coupled System). Il cd viene caricato manualmente dall'alto e poi, sempre manualmente, viene abbassato il... coperchio che scende dolcemente fino a fissare il dischetto nella sua sede. Mutatis mutandis, è qualcosa di piuttosto simile all'operazione coi giradischi analogici. Lo châssis, interamente in metallo amagnetico, è il classico di tutte le elettroniche Rega. E questo è un altro pregio: la standardizzazione, infatti, consente di contenere i costi senza nulla togliere alla qualità del prodotto; permette inoltre di curare una volta per tutte, e a fondo, l'ingegnerizzazione. Che, evidentemente, è ottima.
Svitando quattro viti, il Planet si apre a metà: la meccanica è saldamente fissata alla parte superiore, mentre la sezione di conversione e di uscita sono su quella inferiore. Belle, tra l'altro, e con una componentistica assolutamente non criticabile. Purché non vogliate sapere se si tratta di un monobit o di un multibit, di un 18 o di un 20 bit o che so io, delle altre specifiche, che sono praticamente uguali per tutti i cdp, la Rega vi dice tutto. Sulla conversione, invece, tace, perché è convinta - e non a torto - che troppe scelte vengono compiute sulla base delle specifiche tecniche anziché del suono. "Il Planet è un cdp che suona come suona. Se vi piace, vi emoziona e vi convince, a che cosa vi serve sapere come funziona? Se invece non vi piace, a che cosa vi serve sapere come funziona?" Questo mi pare sia, in sintesi, il discorso Rega. Non si può dire non sia coerente con le premesse che vi ho esposto.
E finalmente parliamo del suono.
Il carattere sonico del Planet non è né di facile né di immediata comprensione. Se voi dopo averlo ascoltato pochi minuti avete capito tutto: o siete molto più bravi di me o vi fate delle illusioni. Mi spiego. Che suoni bene lo sente anche un sordo; il difficile è capire la personalità di questo apparecchio, perché presenta diverse sfaccettature.
Subito si avverte una buona corposità fatta non solo di basse frequenze ben presenti, autorevoli e articolate, ma anche di una gamma media giustamente materica, capace di dare consistenza spaziale e dimensionale agli strumenti.
Poi si nota la sicurezza del suo suono.
La musica viene riproposta senza incertezze e tentennamenti, anche sulle alte frequenze, che non diventano mai tenui e diafane, ma sanno essere raffinate e ricamate senza perdere di vigore e di spessore. E guardate che questa non è una cosa tanto facile da ottenere. E’ come tracciare una linea perfettamente retta a mano libera, che sembra la cosa più facile del mondo ma, se si va d’impeto, la linea tende a curvarsi, se si cerca di lavorare di precisione, il segno diventa incerto e zigzagante. Poi si comincia ad avvertire l'accuratezza: il messaggio è davvero molto ricco di particolari, anche di quelli più minuti ed apparentemente insignificanti, che spesso sono poi quelli che rendono "l’ambienza" e danno realismo alla riproduzione. Il bello è che il Planet non sfocia mai nel suonino zing-zing, bellino quanto si vuole, ma decisamente lontano dalla musica dal vivo che ha sempre forza, vigore e il giusto amalgama. Sì, perché chi è abituato a seguire i concerti sa bene che il suono non è mai iperdettagliato a scapito dell'insieme, né mai così confuso da vanificare i dettagli. Ma tra gli apparecchi hi-fi non sono poi moltissimi quelli che riescono a rendere bene questa caratteristica. Di solito fanno una scelta di campo tra la capacità di analisi e quella di sintesi. Il Planet no. Lui le porta avanti entrambe con assoluta naturalezza. Poi si resta colpiti dalla scena acustica che oltre a essere ben dimensionata, seppur senza strabiliare, vanta una saldezza, una stabilità e una definizione da giradischi analogico di alta qualità. E chi mi legge con una certa costanza sa bene quanta importanza dia alla scena acustica nei miei giudizi. Quella che chiamo "audiovirtualità, parte da lì. Poi c'è la dinamica. Che è davvero buona, pur senza mai porsi come la caratteristica dominante "Ma la musica, in fondo, è dinamica - dirà qualcuno -; come fa a non essere la caratteristica dominante?". Proprio perché la musica è dinamica - rispondo - la dinamica non deve essere sentita come caratteristica a sé. Nessun buon apparecchio può mancare di dinamica, questo è chiaro, ma nessun buon apparecchio deve fare pesare le sue doti di velocità a danno della musicalità dell'insieme. Altrimenti il suono diventa nervoso e aggressivo. Bene, il Planet sa stare al suo posto con naturalezza e assoluta tranquillità. Ha la sicurezza di chi è consapevole della sua forza e della sua abilità.
Infine c'è il bilanciamento tonale. E' decisamente neutro, in contrasto con quanto ci si potrebbe aspettare da un cdp dal suono così vigoroso e corposo. Ma la gamma bassa e la medio-bassa sono perfettamente controllate e si guardano bene dall'invadere le altrui sfere d'azione. Il risultato è quello di una leggera sensazione di calore che non diventa mai né colorazione né eufonia.
 
Conclusioni
A questo punto mi potreste chiedere dove sia la difficoltà nel comprendere a fondo la personalità sonica del Planet. Primo: vi sarete accorti che nessuna delle caratteristiche che vi ho descritto ha connotati banali. C'è sempre un però, un qualcosa di particolare che merita di essere puntualizzato. E non crediate che ci si arrivi in 15 secondi. Almeno io non ci sono arrivato. Secondo: la musicalità. Che questa fosse l'obiettivo principale del progetto Rega ve l'ho già detto. Che questo obiettivo sia stato pienamente raggiunto, se non l'avete già capito, ve lo dico ora. Però (e ci risiamo coi però) il Planet non è un cdp che in estrema sintesi uno definirebbe come "musicale". Il Lector, Oscar di qualche mese fa, lo è, perché questa è la caratteristica che contraddistingue tutte le altre sue caratteristiche, quasi inglobandole e realizzandole in sé. Il Planet è un'altra cosa. E' musicale in senso molto diverso. Forse è la sezione finale che là è a tubi e qui a stato solido; forse è la meccanica forse la conversione... Fatto sta che, mentre il Lector esprime una musicalità all'interno della quale acquistano significato e si esprimono tutte le altre sue buone qualità (e sono tante), il Planet è un armonico insieme di molte e significative, ancorché particolari, buone qualità all'interno di ognuna delle quali lui riesce a esprimere la sua radicata musicalità. Guardate che una simile definizione mi è costata tempo e fatica, per cui, se volete, contestatela, ma non prendetela come un gioco di parole: non è mia abitudine assegnare l'Oscar a cuor leggero. In questo caso però lo faccio anche volentieri, oltre che con assoluta tranquillità, perché sono convinto di averlo capito bene questo Planet (e non ditemi subito che mi sbaglio; lasciatemi nella mia illusione). Il Rega non è un cdp da tutte le stagioni: deve piacere fino in fondo, anche se la cosa non è difficile perché le sue credenziali sono davvero buone. Però non fate l'errore di credere di avere trovato "l'assoluto", come da qualche audiofilo ho sentito dire. Il Planet non è l'assoluto: è un apparecchio che può offrirvi davvero molto, a condizione che ciò che vi offre sia ciò che cercate nella riproduzione musicale. E anche in questo caso non mitizzatelo: è un oggetto troppo intelligente per meritarsi una simile fine. Perciò non umiliatelo scegliendolo come sorgente di un impianto da 50 milioni: non è il suo posto. Se volete davvero valorizzarlo, potete usarlo come super-sorgente in una catenina audiophile-phile-phile da 4-5 milioni, oppure in una, più ragionata, da 7-8. Certo, non sfigura neppure in alcune combina da 10-11 milioni, ma non fate l'errore di generalizzare, perché in questo caso bisogna che il carattere sonico della catena sia in perfetta sintonia e complementarità col suo. Magari con qualche valvola in qua e in là. E non dimenticate di usare cavi "trasparenti", piuttosto neutri e di qualità adeguata. Guardatevi infine dagli amplificatori paciocconi e un po' scuri e da quelli aggressivi e un sparati.
Vigore richiede vigore, ma con tanto self-control.

Andio Morotti

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