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Suono Anno XXII / N. 2 Rega Brio Nicola Laviola

Rega Brio

Un integrato minimalista e provocante come solo Roy Gandy, progettista della Rega, poteva concepire. E' il Rega Brio, che con poco promette di dare tanto, un po’ come ai tempi del glorioso Planar 3…

Sono passati una decina di anni da quando il Rega Planar 3 è stato progettato e da allora l'altissima fedeltà ha fatto passi da gigante; eppure, ancora oggi, questo stringatissimo giradischi continua a stupire per il suo strepitoso rapporto qualità/prezzo. Il segreto del suo successo? Probabilmente l'aver indovinato le poche ma essenziali cose necessarie a far suonare bene un giradischi. Di ogni cosa esistono uno o pochi punti essenziali: il difficile è individuarli! Roy Gandy, progettista della Rega Research, era convinto che la musicalità di un giradischi dipendesse fondamentalmente dalla qualità del cuscinetto, così se da una parte non badò a spese per la sua realizzazione, dall'altra operò un grande risparmio sul telaio e sulle sospensioni, giudicate meno importanti ai fini del risultato finale. Risultato: un giradischi economico ma straordinariamente musicale, tanto da meritarsi l'azzeccato appellativo di "Linn Sondek del povero". Il tentativo di bissare quel successo con l'integrato Brio nel campo dell'amplificazione "budget", appare subito chiaro a una buona conoscenza dell'astuto marchio inglese. Nè cosi oscuro è l'obiettivo di dare fastidio a quello che da tempo viene considerato il campione degli integrati economici: l'anziano Creek CAS 4040. Anche se è proprio nel patrio suolo che abbiamo visto nascere quella piccola perla che è l'Audiogram MB-1, rivelatosi ampiamente in grado di incrinare il primato del Creek. Il compito del Brio non è quindi facile dovendo battersi con questi due concorrenti sul filo della migliore qualità ottenibile ad un prezzo di poco superiore alle 600 mila lire. L'estetica del Brio è decisamente originale, carica di quella punta di provocazione e di oltranzismo che ha sempre caratterizzato le idee del progettista. È la prima volta, infatti, che mi capita di vedere in un integrato di questo prezzo un cabinet realizzato completamente in alluminio pressofuso. Di simile c'è solo il Naim Nait che però costa circa il doppio, ma è proprio dalla Naim che il Brio ha tratto ispirazione per la costruzione del suo particolare "case". Esso non è un pezzo unico, ma è composto da due "metà", come due gusci che racchiudono la parte elettronica e al tempo stesso fungono da scambiatori di calore. Questo è il motivo principale, oltre che estetico, delle profonde scanalature ricavate su circa metà superficie di ciascun guscio: l'effetto visivo è, a mio avviso, molto gradevole perché vivacizza un look che altrimenti avrebbe saputo troppo di "scatola nera". Una curiosità: tanto per non contravvenire ad un'usanza di famiglia, i piedini di sostegno sono tre come sul Planar. Sul pannello frontale, all'interno di un rettangolo di plastica dura, si affacciano due simpatiche manopole a tronco di cono recanti una profonda scanalatura con una piccola sfera verde all'interno per identificare il riferimento: una è riservata al volume, l'altra ai cinque ingressi. Con il tasto di alimentazione collocato alla loro sinistra si chiude, senza stupore, il quadro della dotazione dei comandi. Passiamo quindi al retro che, in modo analogo, offre solo quello che serve e cioè la fila di prese RCA dei cinque ingressi (phono MM, CD, tuner, aux e tape) un po' troppo ravvicinati tra loro e prive di doratura (solo nichelate) e, da presso, i connettori di uscita "annegati" nel pannello (secondo una tradizione cara a una schiera di costruttori inglesi) con la precisa finalità di rendere "obbligatoria" la terminatura dei cavi con connettori a banana da 4 mm. Aprire il telaio del Brio è un'operazione che può disorientare anche i più esperti: apparentemente sembra impossibile farlo perché non vi sono viti a vista finche non si scopre che i piedini anteriori nascondono due viti a brugola che serrano energicamente i due gusci. L'interno rivela che la circuitazione è accolta da un'unica scheda di vetronite sulla quale i componenti sono montati con estremo ordine e raziocinio. I quattro transistor di potenza in contenitore plastico, grazie a due aperture praticate nello stampato, sono a diretto contatto con il telaio ed assicurate ad esso con l'ausilio di una barretta di alluminio e di una coppia di viti a brugola. A fianco del circuito trova posto il trasformatore toroidale di alimentazione il cui lato superiore è smorzato da uno strato di gomma che ne attutisce le eventuali vibrazioni. Un progetto minimale dunque solo nella forma perché, a quanto pare, nelle cose che contano la sostanza non manca, cosi come non manca agli "scheletrici" Planar 2 e 3. Del resto quello che ci si aspetta da un prodotto di questa concezione non è altro che un suono soddisfacente: tutto ciò che è, non dico superfluo, ma di uso saltuario e non strettamente correlato con la qualità sonora, è stato inesorabilmente omesso, anche in vista di un prezzo contenuto.
Un piccolo osso duro. Pur tenendo nel giusto conto la classe di prezzo del Brio e la necessità di collegarlo a sorgenti e a diffusori di pari grado, non mi sono attenuto rigidamente a questo criterio e ho utilizzato anche prodotti di livello più alto per poter spremere dal piccolo integrato anche l'ultima goccia delle sue numerose qualità musicali. Cosi per la sorgente mi sono orientato sia sulla coppia Linn Karik-Numerik che sul Creek CD 60. Ovviamente non saranno in molti coloro che, dovendo acquistare il loro primo impianto, abbinerebbero il cd player Linn con il Brio, anche se non è una soluzione che scarterei a priori visto che migliore è la sorgente, migliore sarà il suono del resto della catena. Per quanto riguarda la scelta dei diffusori la faccenda è più delicata perché, trovandosi a valle dell'impianto, la loro qualità incontrerebbe un limite certo: un piccolo integrato il quale, per quanto bene possa suonare, alla fine si trova costretto a dover fare cose che non può fare. Ecco perché come diffusori ho affiancato alle splendide Monitor Audio Studio 6 le più economiche (si fa per dire) Linn Kan che, pur essendo poco indulgenti nei riguardi dei componenti a monte, con il Brio si sono trovate discretamente a loro agio (e questo non può che suonare come un complimento per l'integrato inglese). Ciò che colpisce maggiormente durante i primi minuti di ascolto è la coerenza e la compattezza della riproduzione, una sensazione che ha il grande potere di metterti subito a tuo agio e di farti ascoltare la musica con maggiore facilità. Questa coerenza, tra l'altro, è una dote difficilmente riscontrabile in amplificatori integrati di questa potenza e, a parte pochissime eccezioni (al massimo due o tre) non credo di averla notata in altre realizzazioni di pari costo. Sarà per l'effetto psicologico indotto dalle sue dimensioni particolarmente contenute, ma mi riesce difficile credere che un suono cosi autorevole e robusto possa scaturire da un integrato di appena trenta watt per canale: e dire che ormai ci dovrei essere abituato dopo che un'intera generazione di piccole belve mi è passata tra le mani! Robusto si, ma anche preciso e perentorio nell'articolazione melodica e ritmica, tale da risultare coinvolgente e trascinante al punto giusto senza essere sguaiato o scomposto. Il Brio non è un integrato che "strilla" e basta: la sua vivacità, dosata con sapienza, non è mai fuori posto e permea tutti i registri dando vita ad una riproduzione decisamente vitale. La gamma bassa è piena e tondeggiante, deliziosamente nervosa e dettagliata nelle sue escursioni, e innestata in maniera molto naturale con il registro medio con il quale forma un amalgama quasi perfetto. Malgrado la coerenza a cui prima accennavo, in questa regione (media) c'è forse una minore ricchezza di dettagli e qualche piccola traccia di spigolosità - da intendersi non tanto come asprezza ma come minore fluidità - ed una leggera compressione. Ma forse sto valutando in termini troppo assoluti dimenticandomi che il Brio è pur sempre un integrato economico, ma lo faccio anche perché la pregevolezza del basso mi ha spinto ad essere naturalmente più critico. Analizzando la parte più alta dello spettro, medio acuti compresi, ritrovo invece la medesima pregevole ricchezza di dettagli esibita dal basso ed una dolcezza, non tanto tonale quanto timbrica, che irradia di naturale luminosità il corpo degli strumenti quel tanto che basta a renderli naturali. La porzione più alta dello spettro assume tuttavia connotati differenti a seconda che si usi la sorgente digitale o quella analogica: con la prima è ancora evidente qualche punta di acidità non stemperata da un'appropriata ricchezza armonica, mentre con la seconda l'acuto diventa sensibilmente più esteso, dettagliato e senza dubbio più coerente con il medio. L'immagine elaborata dal Brio è sostanzialmente corretta, un po' piatta e, tuttavia, sorprendentemente stabile. Gli strumenti non mancano di spazio nel quale potersi esprimere ed infatti la scena sonora si espande senza compressioni in larghezza; dove invece sembra più carente è in altezza e nella corretta scalatura prospettica la quale ha la tendenza - producendo un effetto presenza abbastanza piacevole - a proiettare in avanti gli strumenti solisti e a nascondere un po' dietro le "quinte" quelli di supporto. La tenuta dinamica a volume sostenuto (manopola oltre i 3/4) è discreta anche se è inevitabile un deterioramento dell'ottima coordinazione ritmica, una delle principali credenziali musicali del Brio. Per concludere, sembra che l'obiettivo di Gandy, di realizzare un integrato economico con spiccate qualità musicali, sia stato sostanzialmente raggiunto. Anche se, a mio avviso, il Brio non riesce ad eguagliare il portentoso rapporto qualità/prezzo del Planar 3: ne è prova evidente che mentre a tutt'oggi il Planar 3 non trova ancora concorrenti in grado di impensierirlo, il Brio deve invece misurarsi con alcuni validi avversari prima di potersi ritenere il miglior integrato nella sua fascia di prezzo. Sicuramente però è uno dei migliori.

Nicola Laviola

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