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Audio Review 128 Preamplificatore Merlin Reference Toni Jop

preamplificatore KIimo Merlin Reference

Klimo Merlin Reference: lo saluterò, quando me lo porteranno via, con un filo di commozione. E una grande macchina, una di quelle, che dopo averle conosciute e amate, ti lasciano dentro la sensazione di essere in qualche modo in debito nei loro confronti. La storia è iniziata qualche mese fa e credo di dovervela raccontare. Ve lo devo, se non altro per il fatto che questa è la terza recensione dedicata da AUDIOclub alla famiglia di questi preamplificatori con le valvole nel cuore e non voglio che qualche maligno pensi a sottili cooptazioni messe in opera da importatori disposti a vendere la sorella pur di ottenere citazioni sulle riviste specializzate. Stavo aspettando i due piccoli Klimo Kent Silver.
Suono e Comunicazione, da Bologna telefonò. Disse che mi sarebbero stati consegnati nel giro di due o tre giorni, aggiunse che, se volevo, potevo ricevere anche un pre Merlin Reference, già recensito nelle sue versioni meno nobili. Non è vero che non rifiuto mai nulla, è vero che non rifiuto mai una macchina a valvole. Non dovevo recensirla, niente responsabilità, una vacanza gratis.
In più, la possibilità di ascoltare i due Kent Silver assieme alla loro "mamma": le parentele naturali, credo solo in Alta Fedeltà - dubito forte della loro bontà tra gli umani - garantiscono generalmente piacevoli coerenze. Insomma, feci quello che chiunque avrebbe fatto e accettai l'offerta. Sballai con una certa apprensione il Reference; una macchina strana, laccata di nero, ornata e vezzosa come una vecchia veneziana senza il senso dell'humor e tuttavia rispettabile nella sua determinazione dignitosa per il suo orgoglio. In verità, le vecchie veneziane sono una miniera di humor e solo eccezionalmente, quando la vita trancia i loro ponti con il resto del mondo, si ritirano in una durezza incoerente e il loro silenzio è direttamente proporzionale alla ricchezza del loro addobbo. Nero lacca, grosse manopole cromate, feritoie strette per leve cromate, sul frontale un occhio di vetro molto supponente - come tutte le citazioni -, un decolletè francamente eccessivo sul top trasformato in una lastra di cristallo che lascia intravedere anche il colore dei calzini dei condensatori. Fuori moda, incongruo, stonato: bellissimo. Ma non per i motivi che devono aver convinto mister Klimo della bellezza della sua creazione; mi pareva, e mi appare, bello proprio perché pur non essendo riuscita, quella forma, a trovare una chiave per legare i suoi mattoni stilistici, ciò che alla fine esprime è la sovrana severità di un progetto tecnico che scopre con una certa tenerezza la sua scarsa attitudine a vestirsi di un abito acconcio e smaliziato. Ne esce, in tal modo, una silhouette composita, i cui singoli pezzi sembrano non omogeneizzarsi ma che nel loro insieme risultano ellitticamente non solo accettabili, ma anche gradevoli, fascinosi. Più o meno, accade la stessa cosa a quel guazzabuglio di stili e di materiali diversi e in teoria "opposti", dettati dalla necessità più che da una regia armonizzatrice, che alla fine si ricompongono nella dolcissima skyline di New York. Tolsi il mio SP11, Audio Research, dal suo trono; il Merlin Reference stava bene in un modo ruffiano accanto al Goldmund, ma era solo una parentela acquisita: nero su nero, lacca su lacca, angoli stondati su angoli stondati. Acceso. L'occhio si illumina, la valvola raggiunge una buona incandescenza ma il piatto non è ancora pronto: per mezz'ora, quaranta minuti la macchina era inascoltabile, dura e aspra come una mela acerba. Poi, la musica, la più dolce, fine, melodiosa, ariosa che abbia mai ascoltato. Non ricordo con quale Long Playing io abbia iniziato a dialogare con il Merlin, so solo che cambiai registro mentale. Telefonai a Roberto Lucchesi. Vorrei evitare le tinteggiature melodrammatiche di un flash back sceneggiato a botta e risposta. Dissi a Roberto che avevo tra le mani una macchina fuori concorso, che era in grado di mangiarsi quasi tutti i preamplificatori della sua stazza, che aveva una voce personalissima anche nella grande famiglia dei valvolari e che non si poteva non recensirlo. Roberto esitò: Moroni aveva già raccontato su AUDIOclub il primo (?) Dr. Klimo Merlin nel marzo del '90, Toni De Marchi aveva fatto la sua parte descrivendo il Klimo Merlin LS Reference nel marzo del '92; che senso aveva riprendere il filo ad appena un anno di distanza per radiografare una macchina all'apparenza del tutto uguale alle altre due? Andai a rileggermi le due recensioni. Il pre affidato a Moroni aveva solo un ingresso per le testine a magnete mobile. Aveva raccontato di "una timbrica calda e riposante" anche se, usando un paio di Martin Logan, aveva notato "a volte un ispessimento della trama e un oscuramento nella zona più alta del midrange". Moroni non è un pirla e se diceva di aver notato quei difetti c'era da credergli, solo che nella macchina che avevo io in casa "ispessimento e oscuramento" non si verificano. Per di più, rispetto alla prova di Moroni, io potevo disporre di un ingresso Phono attrezzato per accogliere quasi tutte le microuscite di una bobina mobile, di un cablaggio interno Van Den Hul Silver e di un prato di condensatori preziosissimi, ultraselezionati e di fabbricazione israeliana (sono un po ebreo e voglio bene a quel fazzoletto di terra tormentato dagli integralismi arabi e anche israeliani). E De Marchi? Gros-Jean aveva avuto dalla sua una macchina con la sola uscita di linea e gli era bastata: beati quelli che s'accontentano di quel che hanno; spero che il buon Dio non gli dica un giorno lontanissimo: "Bravo, ti sei accontentato; il Paradiso è tuo, solo che per arrivarci devi passare attraverso la cruna di questo ago", altrimenti ci ritroveremmo sulla terra a lamentarci attorno ad un bicchiere di whisky, io di aver perso il Paradiso per non essermi accontentato del digitale, lui delle ridicole dimensioni delle crune - fatte apposta per far passare i cammelli e non De Marchi - degli aghi di proprietà di quell'eccentrico signore con la barba bianca che vive in una dependance tra le nuvole. Alla fine ho convinto Lucchesi: che nessuno si azzardi a dire che i recensori di AUDIOclub sono al servizio di qualcuno e che non godono di assoluta libertà. È' il prezzo che noi paghiamo per restare poveri, che è il nostro vero e ultimo obiettivo. Spero che le foto siano venute, come si dice, "bene": non amo il flash, per cui mi ostino a fotografare macchine e particolari a luce ambiente - forse ve ne sarete accorti -, convinto che, se ci riesco, linee e forme conservino, non sbattute dalla luce violenta del lampo, morbidezza e tendenze più vicine alla realtà. La macchina costa una decina di milioni, quasi il doppio di quella provata da Moroni, anche se, come ho detto, la pelle è la stessa. Un parallelepipedo nero laccato sul cui frontale emergono tre cilindri cromati, il primo per selezionare gli ingressi, il secondo è il "balance", il terzo il volume (Alps); tra il primo e il secondo cilindro, la levetta cromata che oscilla tra "monitor" e "source"; tra il secondo e il terzo, una seconda levetta che attiva il muting, mentre una terza levetta, posta alla destra dell'occhio magico, quasi sul ciglio del frontale, accende e spegne la macchina. Inutile che mi perda sul "fascino" dell'occhio magico, troppo facile; inutile che mi perda sul "fascino" del top di cristallo fotoinciso con la guida operativa delle manopole e delle levette; troppo facile anche questo. E' bello, è vero, perdersi nelle geometrie rigorose di questi interni oramai arredati "dall'architetto", ma troppo spesso questi microgiardini elettronici all'italiana riescono a mascherare defaillance musicali imperdonabili con ammirevoli architetture dalle quali il cablaggio è stato cancellato per sempre. Tra l'altro, in questo interno il cablaggio c'è e si vede: la guaina bianca del Van den HuI Silver - un cavo che costa 1.000.000 al metro; chi si ricorda di quel sapone profumato con una essenza, diceva la pubblicità, che costava "diecimilalire al goccettino"? - serpeggia, con ordine e discrezione devo dire, sotto gli zoccoli delle valvole, sotto resistenze e condensatori. Sotto le valvole: questo è davvero un preamplificatore a valvole, non come il mio amato SP11 che è un ibrido e si sente, ma come il glorioso SP10 del quale il Merlin, mi sembra, ricorda il temperamento. Un carattere caldo, appassionato, vigoroso e gentile, quando serve; lucido ma non radiografante, non in un modo esasperato. trasparente e... il Merlin su questo terreno "spara" una carta che l'SP10 giocava in sordina: la trasparenza nella macchina di Klimo è sostenuta da un'ariosità miracolosa, che rapisce e ti porta a spasso come il suono del pifferaio magico, solo che seguendolo, non si finisce in mare ma in posti bellissimi, reali, per quanto possono esserlo dei luoghi virtuali. Proviamo a spiegarci: con il Klimo accade che qualunque sia la realtà musicale in riproduzione, si può facilmente giungere a cancellare dalla mente ogni riferimento reale per affidarsi ad un canto che non possiede meno informazioni, nè meno dinamica, nè meno fascino del canto della realtà. Ovviamente non è vero, non è vero, cioè, che la riproduzione non soffra, e pesantemente, per difetto nei confronti del messaggio originale, è vero che la fresca e insieme dolce trasparenza del Merlin surroga ciò che non c'è e non ci potrà mai essere. Tutto questo appartiene alla sfera delle possibilità delle sole valvole: non mi è mai capitata uno macchina a stato solido capace di emanare il profumo del "loto", di quello sbarazzino fiore delle favole che sa darti un'accettabile illusione di quello che vuoi.
Anzi no; ricordo di aver riconosciuto quel profumo in uno sola macchina no-tubes, ma ero un finale: quel meraviglioso Mimesis 3 della Goldmund che, secondo me, è - udite udite - il miglior finale o semi-conduttori del mondo. Ho detto "del mondo" rischiando un sacco; forse dovevo dire "che abbia mai ascoltato", ma a volte uno si sente di rischiare anche in un gioco in cui non si vince niente; meglio. Comunque, questa possibilità di genere (valvolare), viene sublimata dal Merlin Reference con uno padronanza della materia non consueta in Alta Fedeltà.
L' "implacabilità" del messaggio musicale cui la stessa Alta Fedeltà ci ha abituato sottolineando alcuni buchi strutturali del processo di riproduzione (si può andare dalle sibilanti nelle medio-alte frequenze, ai mascheramenti più massicci nel regno delle medio-basse, alla slabbratura o ai fenomeni di indurimento gommo-fonici o legno-fonici nei regimi impulsivi interessanti il regno delle basse e bassissime frequenze) trova in questa macchina un'oasi in cui una quota importante di rasserenamento è garantita. E' per una volta il prezzo di questo risultato non viene pagato dalla lucidità dell'impianto del messaggio musicale che non viene "graziato" o "condannato" dalle arrotondanti eufonie proprie di un'elettronica valvolare.
Di più: molti costruttori di elettroniche, che da anni impiegano la tecnologia dei tubi anche nei preamplificatori, hanno lavorato con grande serietà per ridurre la naturale "imprecisione" delle valvole nelle frequenze della banda audio in cui questa caratteristica viene frequentemente sollecitata ad esprimersi.
Ma nel far questo, si è compiuta un'operazione che, dal mio punto di vista, correttissimo non è e che gode di un'interessante parentela con il percorso compiuto da altri costruttori in campo digitale quando si è tentato di introdurre proprio la voce delle valvole nelle glaciali unità di conversione digitale-anologico, giusto per dare una "scaldata" ai bit.
In campo anologico, si è giunti così, su larga scala, sull'onda di una vero e propria "moda", ad una mimetizzazione circuitale dei tubi termoionici tale do oscurarne drasticamente le caratteristiche musicali. Questo, mentre, nell'altro campo, quello digitale, si ricorreva proprio o quelle caratteristiche per togliere la musica dalla sala chirurgico in cui il linguaggio binario l'aveva relegata. Ecco, ho la sensazione che il dottor Klimo abbia lavorato come piace a me, lasciando cioè alle valvole lo loro centralità ma mettendole nelle condizioni operative ideali per adottare un controllo autogestito della loro splendida voce. Attendo, su questo fronte e con grandissima curiosità le ultime novità di casa Audio Research che ha promesso un ritorno integrale alle valvole, ma con molte sorprese. Intanto, c'è questo Merlin Reference da ascoltare. L'ho legato al Goldmund Studio e al braccio T3F - che da qualche tempo porta a spasso felicemente una Grasshopper di Van den Hul - con un paio di cavi Van den Hul MC Silver Imp. Ancora Van den Hul Silver MC tra il Merlin e il D115, valvolare, dell'Audio Research (ho salutato con infinita riconoscenza il D400 che è tornato dal legittimo proprietario proprio in questi giorni); cavi di potenza Tara Solid Rectangular, sistema di altoparlanti ProAc EBS. Ho alternato il D115 con una coppia di Kent Silver della stessa Klimo per verificare le eventuali sinergie di una catena di elettroniche nate sullo stesso banco culturale e tecnologico. Ricordo che da un paio di mesi lascio galleggiare sia il Goldmund che le EBS sulle molle ad aria Moss dell'ingegner Lorenzo Russo (se non ve ne procurate anche voi commettete il più grande errore della vostra storia di audiofili: credetemi, cambieranno volto ai vostri sistemi, scoprirete di non averli mai ascoltati come dovevano essere ascoltati e tornerete ad amarli); ottimi tavolini della GM Accessori Audio di mister Blanda sotto tutte le elettroniche; alimentazione governata dal condizionatore di rete di Antonio Nincheri.
Travolto da una insostenibile noia per tutto quanto si ripete attorno e dentro di me, ho deciso di sovvertire il consueto ordine degli ascolti, accantonando per una volta "Blue" di Joni Mitchell e sostituendolo con "Harvest Moon" di Neil Young; anzi, con l'ultimo splendido pezzo della seconda facciata, "Natural Beauty", registrato da un concerto del menestrello della West Coast. Travolto dalla pochezza della mia velleitaria esperienza rivoluzionaria (questa ultima, non quell'altra, di oltre vent'anni fa, bitte) ho comunque allargato le braccia e ho provato a volare nell'aria che aleggia attorno al palco su cui Neil Young pesta la sua sei corde. Funziona (e non ho mai neppure sfiorato un acido o altre pesantezze): si vola, io, Peter Pan, volo di tanto in tanto. Il palco è largo e profondo, lui sta nel mezzo, seduto e pesto - l'ho già detto? - la chitarra e quando serve soffia-aspiro nell'armonica che si è incollato sotto il mento; in un angolo un piccolo coro, all'altro lato un piano elettrico. E un sacco di brava gente che si diverte come me saluta, canta e batte le mani.
La scena ha un realismo impressionante ed è tutto "plausibile", voglio dire che non mi imbatto quasi mai in quelle microasprezze, in quelle microaggressività che normalmente possono distogliermi dalla musica e farmi riflettere sulla strada che ancora deve compiere l'Alta Fedeltà per regalarmi una vera magia.
Devo ammettere che il Merlin si sposa con una felicità per nulla sorprendente con la Grasshopper, insieme sono una coppia formidabile. Tutto si muove con precisione incrollabile in una sfera di serena morbidezza che non cancella nulla, non maschera nulla, non privilegio nulla; insisto, è tutto straordinariamente plausibile, naturale, realistico, senza enfasi.
La voce di Neil Young, una voce forte, sostenuta anche quando modula tenerezze, è tale e quale quella che io ricordo di aver sentito ad un suo concerto. Il palco vibra, risponde alle sollecitazioni dei piedi, accoglie ed amplifica i registri bassi della chitarra. Il controllo sui bassi è stupefacente, entusiasmante; me ne accorgerò più avanti ascoltando "Four Drummers Drumming", della Back Yard. Quella valanga di percussioni viene letta dal Merlin con una indifferenza che mi ricorda alla lontana il mio SP11 del quale ora però scorgo senza alibi una freddezza interpretativa oggi forse non del tutto giustificata, non più. I "colpi bassi", che in quella registrazione sono davvero bassi, vengono raccolti e depositati agli ingressi del finale in una confezione superba, sorprendente, stavolta sì, per un pilotaggio valvolare dei segnali: scendono quel tanto che devono scendere senza perdere quel mix di ormoniche che risponde al codice genetico dello strumento che li ha generati e che risulta quindi riconoscibile fino a 40 micidiali Hertz, rotondi, pieni, potenti, lucidi, veloci.
Tanto quanto i bassi riprodotti da un pre a stato solido di altissima qualità. Anche la dinamica è a livelli di eccellenza, benché in questo caso, perda per un soffio nei confronti dell'SP11: è una macchina che può serenamente trascrivere il più drammatico concerto di Jimi Hendrix, così come il Mozart più minimalista di Two String Quintets, una esecuzione dello Smetana Quartet, più la viola di Josef Suk registrata dalla Denon con buona accuratezza.
Violini e viola scivolano su un velluto dolcissimo, conservando brillantezza e vivacità, gli incroci strumentali sono sempre intelligibili, chiari, definiti. Il microcontrasto è fotografato con ottima ma non esasperata lucidità senza per questo nulla cedere alla asprezza, allo sfarfallio dei messaggi decisamente impulsivi ad alta frequenza. Ma, come in altre occasioni, ciò che mi ha colpito è stata la capacità del Merlin di leggere e di trasferire al finale partiture rock molto complesse e male incise; non si salva, ovviamente, la qualità dell'incisione ma voci e strumenti assumono, nel disastro, realismo e trasparenza nuovi, divengono "accettabili", "plausibilmente umani". Nel jazz il Merlin Reference combina sfracelli, ma questo non mi sorprende perché da buone valvole trattate bene mi attendo esattamente questo.
Voglio solo sottolineare, trascurando l'ovvietà, come la creatura del dottor Klimo mi abbia regalato la migliore "My Favaurite Thing" della mia vita: il sax di Coltrane non è mai stato tanto realistico, pieno, fragoroso, ruvido e insieme mite.
Ecco perché mi commuoverò quando me lo porteranno via. Il Merlin Reference entra di diritto nell'olimpo delle elettroniche assieme a non più di tre o quattro pezzi concorrenti allo Stato dell'Arte e credo che vi resterà per molto tempo. Chi può se lo porti a casa. Io non posso. Mandatemi cartoline e arance fresche, questa mia povertà è molto elegante, ma è come una "esclusiva e prestigiosa" prigione progettata da Lloyd Wright e arredata da Roccobarocco.

Toni Jop

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