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Audio Review | 219 – dicembre01 | LAR+BOD | Claudio Checchi |
KLIMO CONTRO KLIMO
Digitale e analogico uno di fronte all'altro, in un parallelo basato sull'impiego di elettroniche "speciali", fatte apposta per far esprimere al meglio ciascuno tra i due sistemi di riproduzione.
Tra le amplificazioni più interessanti ospitate su queste
pagine negli ultimi mesi, c'è senz'altro il tre telai composto dal preamplificatore
Klimo Merlino Gold e dai finali monofonici Kent Gold, elettroniche valvolari
che hanno dimostrato di poter ergersi a livelli sonori e qualitativi particolarmente
elevati. Dato che il Merlino è un preamplificatore solo linea, e volendo
disponibile anche in versione passiva, Klimo ha realizzato un pre-equalizzatore
phono che permetta di utilizzarlo anche in combinazione ai front-end analogici.
Si tratta del LAR, risposta del costruttore tedesco alle odierne esigenze della
riproduzione da supporto vinilico, che necessitano di un dispositivo in grado
di sfruttarne adeguatamente il potenziale, senza passare attraverso le forche
caudine rappresentate dai compromessi tipici degli stadi phono integrati in
elettroniche adibite anche ad una serie di altri impieghi. Una volta parte indissolubile
di qualsiasi preamplificatore, con il diffondersi delle sorgenti digitali lo
stadio phono è stato progressivamente tralasciato dalle elettroniche
di controllo, che ora sono in gran parte solo linea, entrando così a
far parte dell'armamentario analogico, che da molti anni si vorrebbe confinato
in soffitta ma più attuale che mai, dato che sotto molti aspetti le sue
prestazioni non sono state raggiunte dal digitale. Nato per rappresentare un
esempio di realizzazione senza compromessi, un simile preamplificatore phono
rischiava seriamente di penalizzare l'impiego del digitale da parte dell'audiofilo
che ne fosse entrato in possesso. Per non svantaggiare troppo l'audio numerico,
allora, si è deciso di dar vita a qualcosa in grado di permettergli di
reggere il passo con un analogico di alto livello, supportato per di più
dalle prerogative di un'elettronica del calibro del Klimo LAR. Di norma si sarebbe
pensato ad un convertitore esterno, ma dato che Klimo è un costruttore
specializzato nell'analogico, la sua risposta al problema è stata quella
propria di un analogista. E così ha visto la luce anche il BOD. Si tratta
nientemeno che di un filtro analogico con sezione di uscita per sorgenti digitali.
Al pari del LAR, trattandosi di un Klimo, utilizza valvole quali componenti
attivi. Non è la prima volta che un oggetto siffatto vede la luce, dato
che già da anni Musical Fidelity commercializza l'X 10 D, destinato allo
stesso impiego e anch'esso a valvole. Il BOD può essere connesso direttamente
alle uscite analogiche del lettore, anche se per sfruttarne appieno il potenziale
il costruttore consiglia di prelevare il segnale subito a valle dei convertitori
D/A, inviandolo direttamente alla sezione di ingresso. Tra i punti di vantaggio,
rispetto ai convenzionali convertitori D/A, c'è quello che, operando
nel dominio analogico, il BOD è compatibile con qualsiasi tipo di lettore
digitale, CD, DVD o SACD che dir si voglia. Inoltre, sempre perché si
tratta di un dispositivo analogico, non è suscettibile alle problematiche
inerenti la scarsa sincronia del master clock del convertitore D/A e del lettore:
quelle che danno luogo al fenomeno del jitter, il quale sappiamo tutti quanto
abbia penalizzato le macchine digitali basate su più telai. La sua estetica
è quella tipica delle elettroniche Klimo, con frontale in metacrilato
trasparente a sfondo nero, impreziosito dalla spia di attivazione che illumina
in verde il logo del costruttore. Su di esso è presente una sola manopola,
dedicata alla selezione tra segnale diretto o filtrato dalla circuiteria interna.
Sul retro si trovano due coppie di ingressi, a prima vista identiche, ma in
realtà una è destinata al segnale da far filtrare al BOD e l'altra
a quello da inviare in diretta al preamplificatore. L'uscita di linea è
singola: a questo proposito una lieve pecca risiede nel mancato impiego di connettori
con isolante in teflon, che oltre ad una maggior efficacia avrebbero conferito
una nota di raffinatezza in più all'elettronica. All'interno si ritrovano
le prerogative tipiche delle migliori elettroniche Klimo, con piste ricoperte
in oro e stampati sospesi su elementi viscoelastici, atti ad evitare la captazione
di disturbi esterni da parte delle valvole, ponendole in condizioni di lavoro
migliori. La circuiteria è fisicamente separata per i due canali, ognuno
dei quali impiega una coppia di ECC 81 quali elementi attivi. Come ulteriore
precauzione, su di esse sono applicati anelli smorzanti che ne riducono la sensibilità
ad agenti esterni e la tendenza alla microfonia. L'alimentazione è confinata
in un lato del telaio e le sue emissioni di campi magnetici sono tenute a bada
da un'apposita schermatura. L'impiego di componentistica passiva di prim'ordine
non poteva mancare in un'elettronica del genere, completandone al meglio il
profilo tecnico-realizzativo. Per pilotare al meglio il Klimo BOD, ci è
pervenuto un secondo esemplare di Rega Jupiter 2000 appositamente modificato.
Dall'esterno lo si nota per la presenza di una seconda coppia di prese di uscita,
contraddistinte da un adesivo, mentre all'interno il tutto si limita all'impiego
di componentistica passiva volante, interposta tra convertitore e uscite, per
ottimizzare l'interfacciamento elettrico tra sorgente e filtro esterno. La modifica
non influisce sulle normali uscite di linea, che si può continuare a
usare tranquillamente, se lo si desidera. All'interno del BOD sono presenti
i dispositivi destinati alla regolazione del livello di uscita, indipendentemente
per i due canali.
Il Klimo BOD rappresenta una tra le migliori risposte possibili all'attuale
consuetudine di utilizzare componentistica a circuiti integrati nella sezione
di uscita per la stragrande maggioranza delle sorgenti digitali, anche di classe
elevata. Tra l'altro si tratta di roba che nessuno vuole più all'interno
del proprio preamplificatore. Perché allora accettarla in una sorgente?
Forse, un po' perché si ritiene di essere impossibilitati a fare altrimenti,
e magari anche perché tuttora è con qualche difficoltà
che si riesce a discernere correttamente tra le varie parti che danno vita ad
una sorgente digitale. Essendo la progettazione di tali macchine centrata principalmente
sul digitale, è possibile che la loro sezione analogica venga in qualche
modo non dico trascurata, ma quantomeno lasciata un po' al suo destino. Come
del resto l'adozione quasi plebiscitaria di operazionali a circuiti integrati
in tale ambito potrebbe far ipotizzare. E non solo su macchine economiche, ma
anche in molte tra quelle che perseguono un elevato potenziale riguardo alla
qualità sonora. Va detto comunque che, negli ambienti più legati
all'hi-end, è sempre stata conferita una grande importanza alla qualità
realizzativa della sezione analogica propria di una qualsiasi sorgente digitale.
Personalmente direi a ragione: le prerogative musicali dimostrate dalle poche
sorgenti equipaggiate con stadi di uscita a componenti discreti capitatemi sottomano
hanno lasciato un ottimo ricordo di sé. E questa è una buona occasione
per verificare se e quanto sia possibile ottenere un miglioramento per la qualità
sonora, agendo soltanto sulla sezione di uscita analogica. Oltretutto, la possibilità
di partire da una sorgente con la quale si è avuto più di qualche
mese per trovare il miglior affiatamento, facilita moltissimo nella percezione
di eventuali differenze. Passiamo al LAR, che trattandosi di un pre- equalizzatore
phono appartiene ad una tipologia di apparecchiature alquanto più diffusa.
Il suo aspetto è praticamente identico a quello del BOD, a parte la sigla
di riconoscimento stampigliata sul frontale. Anche in questo caso la dotazione
comandi comprende solo un selettore a due posizioni, adibito alla commutazione
di sensibilità per l'impiego con fonorivelatori MM o MC. I primi sono
caricati con la classica resistenza da 47 kohm, gli altri con 10 ohm, valore
non particolarmente elevato, con il quale non tutte le testine a bobina mobile
potrebbero trovarsi nell'agio migliore. Non è previsto un selettore per
la variazione dell'impedenza di ingresso, probabilmente al fine di ridurre per
quanto possibile i potenziali ostacoli che si frappongono sul percorso del segnale,
potenzialmente più dannosi in considerazione del limitato livello di
tensione che lo contraddistingue in questa fase. Le resistenze adibite a detta
funzione sono facilmente individuabili sullo stampato e potranno essere sostituite
senza difficoltà da un tecnico esperto per adattarsi a qualsiasi esigenza.
Lo stadio phono MM ha un guadagno di 33 dB, cui si aggiungono gli altri 26 del
preamplificatore MC, senz'altro sufficienti anche per i fonorivelatori dall'uscita
più flebile. Il pannello posteriore consta di due coppie di ingressi,
per ciascuna tipologia di fonorivelatore, e di un'uscita singola. All'interno
si ritrovano i medesimi canoni realizzativi del BOD, che non stiamo a descrivere
una seconda volta. I componenti attivi sono però in maggior numero, con
due E 88CC per canale, una nello stadio MC l'altra per l'MM, oltre ad una ECC81,
sempre per canale nella sezione MM. Come per il pilotaggio del BOD siamo stati
equipaggiati da una sorgente digitale, per il LAR abbiamo ricevuto altrettanto,
sempre di produzione Rega. Non si tratta di un giradischi, che con il suo ulteriore
ingombro avrebbe reso fin troppo complessa l'effettuazione di questa prova,
ma di una testina, la Exact, modello di punta del listino proposto dal costruttore
inglese. È stata installata sul giradischi Kuzma Stabi S con braccio
Stogi S, che già ha dimostrato il suo valore ragguardevole anche con
fonorivelatori assimilabili ai magnete mobile. La Exact è arrivata in
una scatolina di cartone bianco piuttosto anonima, all'interno della quale è
contenuto un grazioso cofanetto ricoperto di velluto nero. Oltre alla testina,
comprende una coppia di viti e altrettanti dadi che il costruttore raccomanda
di utilizzare per trarre il meglio dal fonorivelatore. Si tratta di elementi
a massa ridotta, come testimonia il loro interno cavo. Lo stilo ha un taglio
Vital, ma la cosa più interessante da osservare riguarda la sua inamovibilità,
che obbliga a rinunciare ad una delle opzioni più comode e distintive
per i fonorivelatori a magnete mobile, ovverosia l'intercambiabilità
dello stilo. Perché mai darsi la zappa sui piedi in tal modo? Una delle
ragioni sta probabilmente nel fatto che lo stilo intercambiabile, spezzando
la rigidità della struttura, determina uno scadimento per le qualità
sonore. Non a caso gli audiofili più accaniti dell’era pre digitale
solevano incollare lo stilo al corpo delle loro MM con una goccia di cianoacrilato.
Facendo corpo unico, aveva minori possibilità di movimenti indebiti e
di risuonare, elementi esiziali per la qualità di riproduzione da supporto
vinilico. Addirittura, le testine di pregio maggiore rinunciano del tutto al
corpo esterno, le cosiddette "nude", sempre per evitare le penalizzazioni
che derivano dalle sue risonanze. Per quanto talvolta si tenda a sorvolare sulla
realtà dei fatti, si tratta di un'ulteriore conferma per la necessità
di avere unta sia fondamentale. E sotto questo profilo, senza nulla togliere
al brillantissimo comportamento del Jupiter 2000 in queste condizioni, chissà
che con una macchina di impegno maggiore non si riesca ad ottenere ancora di
meglio. Passiamo ora al LAR, che con l'impiego del giradischi Kuzma equipaggiato
dal fonorivelatore Rega Exact ha destato sensazioni di rilievo almeno pari.
Il segnale proveniente dal fonorivelatore trova finalmente il giusto tramite
per esprimere appieno le sue prerogative. Che per realismo e presenza in ambiente
destano sensazioni migliori di quelle ricavate con il digitale, nonostante si
debba far riferimento per forza di cose a registrazioni con almeno quindici
anni sulle spalle. Ragguardevole è il contrasto dinamico, anche in virtù
del migliorato equilibro tra le diverse gamme di frequenza, che permette di
trarre sensazioni che colpiscono maggiormente l'ascoltatore, pur se probabilmente
a partire da minori differenziali di livello. Grandissima separazione tra gli
strumenti e, soggettivamente, l'impressione che il loro inviluppo possa essere
seguito fin nei dettagli più reconditi sono altri commenti che il LAR
suscita fin quasi all'istante. E che trovano conferma con il proseguire dell'ascolto,
assieme alla naturalezza della riproduzione, all'ottenimento della quale contribuiscono
in grande misura la luminosità e il dettaglio della gamma media e di
quella alta, che liberate del tutto dalle problematiche derivanti dall'artefatto
digitale hanno modo di porre ancor meglio in luce le loro prerogative. E che
esibite in tali proporzioni spingono ad alcune considerazioni. La prima riguarda
proprio il differenziale esistente tra la condizione attuale e quella propria
di preamplificatori, che per quanto di buon rilievo non potranno mai disporre
di uno stadio phono di classe pari a quello del LAR. Determinando così
una serie di penalizzazioni molto pesanti per la qualità sonora ottenibile
da un qualsiasi front end analogico. Anche e soprattutto nell'ambito di certi
parametri oggi particolarmente in voga, come quelli inerenti l'estensione della
risposta verso le basse frequenze e la dinamica. Il metro di giudizio nei loro
confronti è stato indubbiamente "viziato" dalle esperienze
che tutti noi abbiamo fatto con il digitale, e così può accadere
che oggi se ne possa un pò soffrire la mancanza pur nell'impiego di un
giradischi di ottima qualità, come quelli che andavano per la maggiore
in campo audiophile negli anni Ottanta. Mentre per quanto riguarda la risposta
alle basse frequenze sembri esistere una stretta correlazione con la massa di
piatto e telaio del giradischi, se si parla di dinamica, quantomeno in termini
numerici, non va dimenticato che rappresenta uno tra i maggiori punti deboli
dell'analogico rispetto al digitale. Che poi per una serie di motivi il secondo
non riesca ad affermare appieno tutto il suo potenziale, e determini sensazioni
soggettive che non lascerebbero immaginare l'esistenza di un gap pari almeno
a 20-30 dB, è un altro paio di maniche. Una volta messo il fonorivelatore
nelle condizioni di raccogliere il maggior quantitativo di informazioni dal
supporto, si tratta di perderne il meno possibile strada facendo. E qui entra
in gioco, direi prepotentemente, il livello qualitativo dello stadio phono.
Sempre per quanto riguarda la dinamica, è indubbio che possa fare molto,
come il comportamento del LAR dimostra senza mezzi termini. Mostrando ancora
una volta che se in termini assoluti il digitale ha quasi sempre la meglio,
quando tale parametro viene analizzato a partire dal contrasto tra i diversi
strumenti il discorso cambia, e di molto. Anche perché il repentino variare
di livello non è associato ai disturbi tipici del digitale, causando
una fatica d'ascolto nettamente minore, che in ultima analisi consente di spingere
la riproduzione a livelli di pressione più elevati. Le incisioni meglio
riuscite dinamicamente, in particolare quelle in cui è più evidente
il gioco delle percussioni, sembrano davvero fuochi d'artificio, con un passaggio
sinistro-destro, una finezza nella riproduzione delle informazioni di frequenza
più elevata, un'assenza di artefatti decorrelati dall'andamento del segnale
tali da rendere possibile quella naturalezza di emissione che per il digitale
sembra un traguardo ancora lontano. Fin qui le impressioni ricavate con un fonorivelatore
a magnete mobile, per i quali sembra che il LAR fornisca un guadagno esuberante.
Tornando all'impiego della Van den Hul DDT II Special, si nota un ulteriore
passo in avanti nella qualità di riproduzione. Cosa del tutto naturale,
dato che costa circa il 70% in più ed inoltre sfrutta il principio della
bobina mobile. Si tratta per molti versi di una MC sui generis, dato che il
suo livello è piuttosto esuberante, pur non appartenendo alla famiglia
di quelle definite per convenzione ad alta uscita. La tensione generata, almeno
a giudicare dalla rotazione del volume necessaria ad ottenere un certo livello
di pressione, è di poco inferiore a quella di modelli assimilabili agli
MM di uscita non particolarmente elevata, come la serie delle Grado a bassa
induttanza. Pertanto, nel suo impiego, si è sempre in dubbio se usare
l'ingresso MM o l'MC. Dato che l'impedenza di quello MM presente sul LAR è
di 47 Kohm, valore fin troppo esuberante per la DDT II Special, è stato
necessario optare per l'altro. In questo caso il guadagno effettuato dallo stadio
phono è decisamente superiore alle necessità di un fonorivelatore
siffatto, lasciando immaginare un'ottima compatibilità anche con quelli
dalla tensione di uscita molto bassa. Malgrado ciò si può apprezzare
innanzitutto un'ottima silenziosità, punto debole di qualsiasi catena
basata su fonorivelatori MC e su elettroniche meno che eccelse. L'impiego di
un equipaggio mobile dalla massa particolarmente contenuta permette di ottenere
capacità di tracciamento inusuali, distanti anni luce da quelle attribuite
per convenzione alle MC di dieci-quindici anni fa. E permette anche di posizionarne
la frequenza di risonanza ben al fuori della banda audio. Il che determina una
grande pulizia ed un'analiticità ancora maggiori sui comparti medio e
superiore. Caratteristiche che vanno ad enfatizzare ulteriormente le capacità
di affrontare anche i fronti più ripidi senza perdere contatto con le
pareti del solco. Un altro fattore, questo, che permette di sfruttare in gran
parte la dinamica propria del supporto vinilico. Lo si nota soprattutto nei
passaggi contraddistinti dalla modulazione più elevata, durante i quali
le capacità di discernimento del fonorivelatore fanno comprendere senza
difficoltà il netto progresso compiuto rispetto al passato. Tutto ciò
si ripercuote sulla limpidezza e sull'estensione delle alte frequenze, davvero
ragguardevoli, e che assieme alle succitate doti di naturalezza ed a quelle
altrettanto esplicite riguardo alla presenza, danno luogo ad una riproduzione
più realistica nei confronti del digitale. Anche sul versante opposto
si nota un buon miglioramento, con frequenze basse ancora più estese
e profonde. Il differenziale più consistente tra MM e MC risiede a mio
avviso nella maggior profondità e limpidezza per la gamma media delle
seconde. Ascoltarne una così verosimile è qualcosa cui non ci
si abitua tanto facilmente, e che soprattutto rende oltremodo difficoltoso distogliere
la propria attenzione da quanto viene emesso dai diffusori. A tale risultato
il contributo del LAR è essenziale, perché si può avere
anche il miglior giradischi di questo mondo, ma se il segnale che da esso fuoriesce
lo si "brucia" con uno stadio phono men che all'altezza della situazione,
difficilmente si potrà recuperare in seguito. Un altro tra i presunti
difetti dell'analogico, il comportamento agli estremi banda, riprende un vantaggio
consistente nei confronti del digitale, per naturalezza e consistenza di quello
inferiore, per luminosità, controllo e rifinitura di quello opposto.
La gamma alta infatti è in media alquanto più estroversa di quanto
accada a partire dalla sorgente digitale presa a riferimento in questo confronto.
Tutto ciò nonostante il fatto che l'impedenza di carico del LAR sia alquanto
minore rispetto a quella definita come ottimale dal costruttore del fonorivelatore,
pari a 150-200 ohm. Data la sensibilità a tale parametro della DDT II
Special, e in generale di tutti i fonorivelatori, MC o MM, per quanto riguarda
l’allineamento della gamma alta, è ipotizzabile che un'ulteriore
ottimizzazione per l'interfacciamento elettrico avrebbe potuto comportare un
incremento di prestazioni. Oltretutto l'impedenza di carico del fonorivelatore
è uno di quei parametri con cui giocare si rivela particolarmente redditizio
per allineare la risposta del fonorivelatore: su quelle che sono le proprie
necessità, oppure su quelle dell'incisione riprodotta di volta in volta.
Non è male, infatti, avere la possibilità di spingere un pochino
la gamma alta di dischi non particolarmente brillanti caricando un po' di più
il fonorivelatore sotto il profilo elettrico, o di fare il contrario qualora
la situazione lo renda necessario. Il che, affiancato da un buon lavoro di VTA,
consente in genere di trarre gran parte del potenziale insito in ogni disco.
Anche in questo caso, comunque, è questione di preferenze: meglio una
circuitazione appena più complessa, che permetta di intervenire su parametri
che hanno dimostrato la loro influenza sulla qualità della riproduzione,
oppure affidarsi a qualcosa di meno versatile ma potenzialmente di minore ostacolo
al passaggio del segnale? Ognuno ha in sé la risposta giusta per il proprio
caso: certo è che quando ci si trova di fronte ad una riproduzione di
simile livello qualitativo, non è assolutamente difficile prenderla per
quello che è, dato l'elevato livello di soddisfazione che procura nell'ascoltatore.
Bene, siamo arrivati al punto, dopo qualche giorno dedicato a ciascuna delle
due elettroniche Klimo, e a ciascuno dei due sistemi di riproduzione, in cui
si deve cercare di trarre un consuntivo. L'impiego di un sistema come quello
formato dal Jupiter 2000 e dal Klimo BOD ha evidenziato quale parte dei problemi
propri delle sorgenti digitali possa essere minimizzata per via analogica. Al
punto che, addizionati i prezzi di listino delle due macchine, non è
facile trovare qualcosa da contrapporvi in termini di qualità sonora,
e che non obblighi a esborsi molto maggiori. Con il loro impiego si ottiene
anche di riappacificarsi quasi del tutto con il digitale, in particolare se
si tralascia di riascoltare quanto si possedeva già su supporto vinilico.
Il LAR, invece, ha posto sotto una luce altrettanto intensa da un lato la necessità
di sfruttare al meglio il segnale proveniente dal fonorivelatore, e dall'altro
quale sia il livello qualitativo dei risultati che si possono ottenere dopo
aver curato un minimo i diversi aspetti funzionali relativi ad un front-end
analogico. Pur essendo ancora ben lungi dall'averla vinta su tutta la linea,
un digitale così realizzato riduce sicuro il gap che lo separa dall'analogico
per quanto riguarda un ampio numero di parametri. Anche non riuscendo a ribaltare
l'ago della bilancia, l'accoppiata Jupiter-BOD mostra comunque che il digitale
ha ancora un buon margine di potenziale inespresso. Un confronto che si è
svolto comunque su un terreno di livello particolarmente elevato, e sul quale
l'analogico ha dato tuttora l'impressione di prevalere, anche se si è
avuta netta la sensazione che analizzando strumentalmente il segnale reso disponibile
dai due sistemi, i numeri migliori sarebbero probabilmente appannaggio del digitale.
Cos'è allora che permette all'analogico di restare ancora al vertice?
Di sicuro qualcosa che ha molto a che fare con la sua maggior naturalezza, e
con la relazione molto più corretta che esiste tra le varie parti che
danno luogo all'informazione audio nel suo insieme. Relazione che forse consente
al cervello dell'ascoltatore di effettuare in maniera più facile l'elaborazione
di quanto gli arriva dal nervo uditivo, portando ad una ricostruzione soggettivamente
più verosimile dell'evento riprodotto.
Claudio Checchi
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