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Suono 320 - anno XXIX Amplificatore finale stereo Tine Mario Berlinguer

Amplificatore finale stereo Tine

Il nuovo finale di potenza Klimo si chiama Tine, ed è derivato dal celebre due telai Kent. La sua qualità sonora è conseguenza di un certosino lavoro di messa a punto e ottimizzazione dei componenti, e si sente.

Il Tine è arrivato in redazione insieme a parecchi altri pezzi, nelle intenzioni iniziali per una prova di un impianto di alto livello, in cui gli abbinamenti fossero i migliori possibili.
Sorgente a due telai Rega Jupiter e Io, giradischi Planar 9 con una nuova testina Transfigluration (presto in prova), stadio phono Klimo Lar e pre Merlino, diffusori Rega Naos, cavi Klimo. L’impianto, non c’è che dire, suonava proprio bene, ma poi abbiamo preferito dare maggior spazio ai singoli apparecchi, per l’interesse che rivestono e per l'impossibilita di approfondirne le caratteristiche tutti insieme in un unico articolo. Partiamo allora con il prodotto più nuovo, per l’appunto il finale Tine, un 35 watt stereo che ricalca la circuitazione di uno dei Klimo di maggior successo, il monofonico Kent, con le varianti indotte dal passaggio dal mono allo stereo e dalla diversa disposizione dei componenti..
Sull’ etimologia del nome di questo finale ho scoperto che si ricollega a quella mitologia nordica da cui deriva anche il nome del Beltaine, ossia Bel-tine, “fuoco luminoso”, acceso dai druidi in onore della divinità “Bel”. Quindi, direi che “Tine” voglia dire proprio “fuoco” nel linguaggio gaelico. Il concetto di “fuoco” deve essere annidato tra le valvole del finale, e magari nel suo suono, perché visivamente il Tine si presenta come un “mattone” nero di concezione assai poco focosa, che si salva solo per la presenza di un pannello frontale nero lucido in plexiglas e del logo “K” che all'accensione si illumina di un bel verde. Più bello è l'interno, per accedere al quale bisogna prima togliere il frontale, avvitato da sotto. La costruzione è quella cui ci ha abituato Klimo curata, ben disegnata, e con componenti altamente selezionati. C’è da specificare che la scelta dei componenti non ricade necessariamente sui più costosi o rinomati, cosa che ha suscitato qualche polemica. Molti infatti tendono a giustificare il prezzo di un prodotto audio in base alla componentistica impiegata, e storcono il naso quando in un apparecchio non è presente il massimo di quanto offre il mercato per quella categoria di prodotto. Secondo Klimo le cose non stanno cosi: deve essere selezionato il componente che offre il massimo delle prestazioni in quella determinata circuitazione in considerazione degli altri componenti impiegati, e non è detto che i pezzi più o alla moda siano sempre quelli che in tale configurazione danno il risultato migliore. Ogni componente è quindi analizzato e provato, non in funzione della possibilità di avere l’apparecchio più “griffato” del mondo, ma della sua effettiva efficacia nel contesto globale ai fin del suono; se un condensatore economico suona meglio di uno costoso, Klimo sceglie l’economico, se una valvola di oggi suona meglio di una old-stock, si sceglie quella meno retrò ma più efficace. In questo, é affiancato da alcuni collaboratori tra cui gli importatori italiani, con i quali c’è uno strettissimo rapporto di interscambio, al punto che le produzioni Klimo non sempre sono uguali in tutto il mondo, e per l’Italia vengono fatte delle tirature particolari sulla base delle indicazioni di chi conosce le necessità dell’esigente pubblico del nostro paese. Si può obiettare ragionevolmente che su queste scelte giochi anche la voglia di risparmiare qualcosa, ma a ciò é stato risposto che il risparmio di qualche migliaio di lire ad apparecchio è meno rilevante del costo di giornate passate ad ascoltare i componenti uno per uno alla ricerca di quello che funziona meglio. Non è una risposta dissennata, e visto che spesso i prodotti Klimo suonano a mio parere meglio di prodotti analoghi che impiegano più intentensivamente componentistica di grido, sono portato a pensare che dietro questo atteggiamento ci sia della buona fede; comunque, giudicate voi.
Torniamo alla descrizione del Tine. L’alimentazione é prelevata da un robusto toroidale da 250 VA; vengono impiegati condensatori Philips, Elna, Samwha, Hitano. Ciascun canale prevede un push pull realizzato con una coppia di EL 34 della tedesca AEG mentre due doppi triodi 12AX7 lavorano come driver/invertitore e come preamplificatore. La filtratura di alimentazione è effettuata con celle RC separate per ciascun canale. In uscita troviamo due trasformatori realizzati con lamierini di sezione non eccessiva ma adeguata. Per il cablaggio interno si è usato principalmente del cavo Klimo (il modello Eisis è quello che porta il segnale fino ai morsetti). La circuitazione è tutta concentrata su un unico stampato molto ben eseguito, salvo i tre trasformatori che sono ancorati al telaio, verso la parte posteriore dell’apparecchio. Sul retro si trova il gruppo delle connessioni, che nell’esemplare giunto in redazione non erano ancora nel loro asserto definitivo, e in particolare i connettori verso i diffusori. molto ravvicinati, non sono il massimo della comodità.
Ho provato il Tine in svariate combinazioni, per verificarne la capacità di pilotaggio e anche la possibilità di impiegarlo in soluzioni ibride, ossia con pre a stato solido. In combinazione con il “suo” Merlino e con i diffusori Naos, piuttosto adeguati a un finale a tubi, il Tine trova il suo ambiente di lavoro ideale, e il suono della catena è risultato brioso, veloce, trasparente e indubbiamente armonico e musicale. Ciò non mi ha sorpreso, in guanto si tratta di urna catena ben studiata, in cui tutti i componenti sono l’uno in funzione dell’altro, cavi compresi. Più istruttivo e sorprendente e stato invece provare il Tine in abbinamento al pre a stato solido AM Audio Pre 04 e ai non facilissimi diffusori Aliante One Zeta. Il finale di Klimo si è infatti dimostrato assai ben disposto a ricevere il segnale di un pre non a tubi, non mostrando quell’inscurimento del suono o al contrario quella eccessiva asciuttezza che denunciano la scarsa adattabilità di uno dei due pezzi alla combinazione ibrida. Quindi, tenderei a dire che il Tine si può utilizzare anche in impianti misti (previa sempre una prova sul campo). E, inoltre, il Tine sembra essere fatto apposta per smentire quanti pensano che un ampli a valvole non possa essere utilizzato con diffusori moderni di un certo impegno elettrico. Con gli One Zeta, che ricordo hanno messo alla frusta più di un’elettronica a transistor, il suono è scaturito potente e dinamico, assai esteso verso le basse frequenze, calde e pastose ma tutt’altro che prive di controllo, e non ho mai notato quei tratti di durezza del registro acuto che denotano lo stato di affaticamento del finale. Il Tine è insomma un apparecchio dalla buona versatilità, e può essere impiegato in un gran numero di combinazioni, anche se come al solito la raccomandazione è quella di non prendere per oro colato le parole del recensore, che non può provare di tutto, ma di eseguire sempre le opportune verifiche.
Vediamo ora la natura sonora di questo finale.
Con la musica rock (Tom Waits, Mule Variations, Epitaph) esprime una notevole dose di potenza. mostrandosi capace di muovere un fronte sonoro generoso e rassicurante. Il basso, come già detto, è profondo e robusto, ed esprime bene quella sintesi di pastosità e controllo che a me piace nei buoni finali a valvole. Con i woofer in carta dei Naos erano migliori le sensazioni di velocità e fermezza, ma anche con gli One Zeta le cose non sono andate assolutamente male. La batteria è sempre trattata come uno strumento piuttosto che come una mera pulsazione ritmica, ciò che è particolarmente importante in questo disco, dove è suonata nei modi più disparati. Belle le pelli con le spazzole, sonori e insieme rapidi i più decisi colpi di bacchetta, e assai ben rappresentate le diverse intensità impresse dal polso del musicista. I piatti sono pressochè perfetti, luminosi ma sempre ammantati di una certa dose di calore, che lungi dallo spegnerli li rende particolarmente piacevoli. L’ascolto di questo disco mostra già la notevolissima propensione timbrica di questo finale, capace di trattare gli strumenti acustici con colori dosatissimi, rendendone il suono enormemente piacevole e ricco, ma anche di conferire agli strumenti elettrici (qui solo chitarra) quella punta di aggressività che in certi casi ci vuole. La voce di Waits è resa in un modo che mi ha davvero fatto innamorare, nitidissima eppure tremendamente carica di aspetti espressivi e anche drammatici, di una musicalità e una naturalezza sinora mai riscontrata; e del pianoforte, qui probabilmente un vecchio verticale registrato da lontano, è resa magistralmente la vitalità armonica che emerge da un suono volutamente un po’ ovattato. L'ascolto del disco successivo (Haendel, Concerti per Organo, Van Asperen, Virgin Veritas) conferma la grande naturalezza e la musicalità di questo finale. Gli archi sono insieme corposi, fluidi, vivaci e dettagliati, rapidi nell'adattarsi alle varie situazioni timbriche che vanno dall'impasto caldo al flautato, dal suono luminoso e brioso a momenti di maggiore corposità, sempre nel rispetto di un'altissima piacevolezza. L'orchestra è ariosa senza essere dispersiva, sia sotto il profilo timbrico che per quanto riguarda l'immagine, stabile, ampia e profonda ma con una prevalenza dell'aspetto plastico sulla fissità fotografica degli elementi. L'organo è rappresentato con completezza e chiarezza, e di nuovo alla nitidezza e alla trasparenza, con la ricchezza di sfumature che ne consegue, fa riscontro una fascinosissima musicalità. Anche in questo caso il fronte sonoro e l'escursione in frequenza godono di ragguardevole ampiezza. Tra le cose che con questo disco mi sono più piaciute c'è una grande pulizia, che consente di leggere ogni meandro della partitura senza nessuna difficoltà. "Si sente tutto", insomma, come mi ha confermato anche l’ascolto della Passio Secundum Johannem di Cipriano de Rore (Deutsche Harmonia Mundi). Il Tine si disimpegna benissimo con il complesso segnale di questo disco, dal suono estremamente pastoso e avvolgente, al punto che ogni tanto qualche ampli non riesce a ricrearlo con la dovuta pulizia. Qui invece avverto chiaramente lo sviluppo delle linee vocali, nel rispetto dello spessore armonico quasi gonfio del disco ma senza che mai ciò generi confusione. Veramente ottimo, anche le voci si confermano assai belle. Come avrete capito, sono sulla via dell'innamoramento per il suono del Tine, e il colpo decisivo me lo da l'ascolto delle Sonate di Beethoven nella stupenda intepretazione di Brendel per Philips. Lo strumento è di magnifica naturalezza, chiarissimo eppure pieno di calore, articolato con precisione e insieme di meravigliosa musicalità. Viene rappresentato con strepitoso verismo al centro della stanza, alla giusta distanza, e insomma mi lascia veramente a bocca aperta. Mi ritrovo quindi ad ascoltare altri dischi di pianoforte, scoprendoli tutti bellissimi pur nella loro diversità, a dimostrazione, nuovamente, della versatilità di questo finale, della sua capacità di rispettare i mille possibili colori con cui la musica viene catturata, i diversi ambienti di registrazione, le diverse interpretazioni. Coup de Foudre.

Mario Berlinguer

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