Rivista | Data / Nr. | Argomento della recensione | Autore |
Musica Jazz | aprile 2009 |
KLIMO Tine | Daniele Cecchini |
SERGE CHALOFF SORPRENDENTEMENTE REALE DALLE VALVOLE DELL'AMPLI KLIMO TINE
L'ascolto, il mese scorso, degli arrangiamenti orchestrali predisposti da Lalo Schifrin per Jimmy Smith non è stato che il primo passo in quel giardino di delizie sonore che sono le amplificazioni Klimo. Il catalogo degli apparecchi ideati da Dusan Klimo offre numerose soluzioni da abbinare al preamplificatore Merlino Gold per completare il cuore elettrico di un impianto. Va notato infatti che alla Klimo non c'è spazio per amplificatori integrati: i modelli di base sono già concepiti in due telai. Passiamo così dalla prova del pre Merlino Gold, che continuiamo a usare per la gestione del segnale, a quella degli amplificatori finali monofonici Tine, mentre sul fronte musicale la big band lascia il palco a un combo piccolissimo, del quale diremo poi. Se alla Klimo il taglio minimo delle amplificazioni prevede due telai, qui siamo già avanzati di livello, raggiungendo i tre elementi: il classico finale stereo Tine ha infatti da poco lasciato il posto a un nuovo amplificatore che, pur portandone lo stesso nome, è caratterizzato da una costruzione palesemente diversa. I due corpi del nuovo Tine presentano al loro interno una disposizione dei circuiti di grande compostezza e linearità, mentre tutto si gioca sull'estrema qualità della componentistica selezionata.
E ora la prova - La riproduzione valvolare è quanto mai congeniale alle caratteristiche sonore dell'organo Hammond, con il suo suono greasy, quei bassi che sono come pugni attutiti dalla morbidezza di un guantone, la liquidità con cui le note si legano nelle rapide volate sulla tastiera. Collegato il Merlino Gold ai finali Tine dello stesso marchio di cui riferiremo in futuro e a delle Bösendorfer VC7 (versione maggiorata rispetto alle VC2 di cui si è già scritto), ci mettiamo dunque all'ascolto di un classico come The Cat di Jimmy Smith, nella ristampa Verve Master Edition. Dalla compagine orchestrale scaturiscono moli d'ottoni che, attraverso il Merlino, si rivelano in tutta la loro efflorescenza dinamica, mentre il lavoro del piatto ride e le percussioni dimostrano con quale velocità e puntigliosità sia scenografica che di attacco il Merlino sappia rispondere ai picchi drastici e immediati dei segnali transienti. L'effetto dei bassi, tra organo, contrabbasso e tuba, è quello di un uragano quando non si è ben chiusa la porta di casa. Gli intensi riverberi applicati in post produzione (un marchio di fabbrica della Verve) vengono gestiti in maniera da conservarne il fascino scenografico (sembra di vedere l'orchestra in un immenso hangar) senza sviluppare fenomeni di mascheramento dei dettagli. Il colorismo forsennato degli arrangiamenti di Lalo Schifrin è come un banchetto di delizie per la timbrica delle valvole del Klimo. Qualche piccola smagliatura dinamica dovuta all'età dell'incisione (che è del 1964) e alla prepotenza dell'organico musicale fa quasi sorridere: è come lamentare un accenno di cellulite sulle gambe di Miss Universo. L'amplificazione valvolare ha tra l'altro il merito di sviluppare talmente le dinamiche che questi scrocchi contenuti nel disco vengono quasi riassorbiti nel flusso energetico della musica.
Blue Tine - Uno dei divertimenti jazz-audiofili che consigliamo è quello di sottoporre gli amici (ancora meglio se musicisti) a un blindfold test destinato a produrre una doppia stupefazione: artistica, alla rivelazione del contenuto musicale, e sensoriale, allo svelamento dell'anagrafe dell'incisione. Stiamo scrivendo di un disco Capitol di Serge Chaloff, "Blue Serge". Un titolo non facile da riconoscere, anche per l'infelice dimenticanza (favorita dalla precoce scomparsa e dalla sparuta discografia) in cui versa la memoria del grande sax baritono. Il suono di questo album è semplicemente sbalorditivo, non meno della musica, che combina così abilmente il fraseggio bebop, i tempi swing e la pronuncia West Coast da cancellare qualsiasi frattura tra gli stili. I musicisti, poi, sono evidentemente in preda all'estasi del momento: Chaloff ha una scioltezza e fantasia d'eloquio che l'avrebbero imposto nell'empireo dei sassofonisti, se solo non si fosse votato all'autodistruzione. La ritmica alle sue spalle (Sonny Clark, Leroy Vinnegar, Philly Joe Jones) s'inventa lì per lì accompagnamenti che sono opere d'arte in sé compiute. Particolare, anche per l'ascolto dei Tine, il lavoro di Vinnegar: un tocco potente, una cavata che va a fondo nelle risorse dinamiche dello strumento, un suono d'impatto che mantiene sempre nitida l'intonazione e vibrante il corpo armonico; si ascoltano note, non toc-toc. Tramite il Tine questa musica acquista un effetto di presenza fisica, una concretezza tale da annullare la sensazione dell'ascolto discografico, dandovi piuttosto l'impressione di trovarvi realmente davanti gli strumenti. I colori sono intensi, l'immagine solida. Pare crearsi un senso di intimità tra ascoltatore e musica, tanto questa è palpabile, trasparente nei dettagli, dolce in gamma alta, precisa e dinamica nel registro inferiore. I 40 W del Tine dimostrano che non sono tanto i numeri a contare quanto la qualità dell'erogazione elettrica: il suono è veloce, vellutato, denso, caloroso.
Finale acrobatico - "Blue Serge" è un'incisione del 1956. Monofonica. Negli oltre cinquant'anni passati da allora, non c'è stata tecnologia capace di fermare su nastro una tale naturalezza sonora, vivacità dinamica, eleganza timbrica. Un disco imperdibile per godere al massimo di ogni impianto hi end, nonché una delle sedute più sublimi degli anni Cinquanta.
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