Rivista Data / Nr. Argomento della recensione Autore
Fedeltà del Suono 166 - 2009
Klimo Parsifal+ATLAS Fulvio Chiappetta

ANALISI TECNICA

Ricetta classica sì, ma con una spruzzatina di pepe

KLIMO PARSIFAL e ATLAS Il preamplificatore di classe top che questo mese transita sotto la nostra lente di ingrandimento è, in termini circuitali, quanto di più classico si possa immaginare. Tutte le novità sono dunque solo in una attenta scelta della componentistica ed in una valida ingegnerizzazione? Non solo, anche perché il progettista ha disseminato qua e là qualche intrigante colpo di coda che, come una piccola e ben dosata spruzzatina di pepe per una pietanza, può conferire un sapore tutto particolare alla realizzazione.

Il massiccio preamplificatore Klimo Parsifal è indubbiamente un prodotto molto interessante che ricalca, in buona parte quasi pedissequamente, i canoni più conservatori nell'ambito della progettazione di tale tipo di apparati; e su questo non v'è alcun dubbio. Ma, come abbiamo asserito nell'occhiello, il costruttore ha operato delle scelte che, seppure non risultano essere né controcorrente, né totalmente inedite, sono in grado di caratterizzare la sonorità del prodotto, allineandolo alla più moderna ed agguerrita concorrenza di fascia altissima, rispetto alla quale riesce sotto alcuni aspetti a differenziarsi per alcune peculiarità solo sue. Volendone citare una per tutte, la prima che ci viene in mente è una immanenza della gamma bassa difficilmente raggiunta da tipologie valvolari prive di controreazione, come è quella del nostro. Ovviamente, nell'analisi tecnica che seguirà, non solo evidenzieremo gli aspetti innovativi dell'apparecchio, ma cercheremo anche di trovare le interessanti correlazioni tra essi ed il suono conseguentemente esibito.
Nella disamina che seguirà diversificheremo l'analisi della sezione amplificatrice da quella di alimentazione: si tratta di una prassi che non sempre adottiamo, ma che in tale circostanza risulta più che opportuna in considerazione del fatto che vi sono alcune particolari raffinatezze che caratterizzano non solo la prima delle sezioni considerate ma anche, e forse soprattutto, la seconda.

LA FILOSOFIA DELLO STADIO AMPLIFICATORE
Perché il discorso risulti massimamente chiaro anche ai neofiti, precisiamo che in un qualunque preamplificatore è possibile dividere l'intero progetto in due macro blocchi funzionali che non possono mai mancare, indipendentemente dal fatto che siano allocati nel medesimo cabinet o in due separati, soluzione quest'ultima che viene a giusta ragione considerata maggior mente raffinata in quanto elimina alla radice tutta una serie di possibili interferenze tra le due sezioni, segnatamente i flussi dispersi e le vibrazioni derivanti dal trasformatore di rete, certamente deleterie per il suono. Il Parsifal adotta la configurazione del duplice telaio.
Premesso ciò, iniziamo dunque la descrizione dello stadio amplificatore, la cui semplicissima topologia è illustrata in Fig. 1 è composto da due stadi attivi: il primo ha la funzione di amplificare il segnale, mentre il secondo provvede ad ottimizzarne l'interfacciamento con il carico costituito dal o dai finali collegati al preamplificatore. Non a caso abbiamo specificato che è possibile connettere al preamplificatore più di preamplificatore finale: un collegamento di tale tipo, necessario quando si desidera multi amplificare il segnale per un pilotaggio separato delle diverse vie del diffusore, è sempre possibile con qualunque preamplificatore, adottando degli opportuni sdoppiatori a 'Y'; rintracciarli sul mercato non è difficile, ma bisogna selezionare il prodotto giusto dal momento che esso deve ovviamente essere di qualità opportuna per evitare un intollerabile degrado del segnale. E' proprio per questo che diversi preamplificatori di classe prevedono una duplice connessione di uscita; nel caso del Klimo, sono state addirittura previste tre prese, scelta giustificata dal fatto che la capacità di pilotaggio del Parsifal è davvero notevole, grazie alla erogazione energetica resa possibile dall'adozione di un tubo amplificatore particolarmente dotato sotto tale profilo.
Dunque poche o nessuna novità sotto il sole per ciò che concerne la tipologia circuitale; le vere originalità del progetto sono sostanzialmente nella scelta del tipo di valvola impiegata, aspetto che esamineremo immediatamente, e nella selezione della componentistica, cui daremo qualche cenno nel paragrafo di chiusura. Parliamo della valvola: la prescelta è la 6H30, un prodotto russo che da alcuni anni a questa parte sta sempre più prepotentemente entrando nel mondo hi-end, grazie ad alcune sue caratteristiche praticamente uniche. Il progettista di stadi di amplificazione a basso e medio livello cerca solitamente in una valvola, oltre ovviamente ad una spiccata linearità, un coefficiente di amplificazione non troppo alto ed una resistenza interna possibilmente contenuta: la 6H30 possiede entrambe queste caratteristiche. Grazie al guadagno piuttosto basso, dell'ordine di grandezza di poco più di 20dB, consente un suo utilizzo semplice e diretto in circuiti privi di contro-reazione (o quasi). Quest'ultima infatti sarebbe necessaria per abbassare l'amplificazione dello stadio, nel caso in cui quella naturalmente fornita dal tubo risultasse esuberante rispetto alle esigenze. Inoltre, la bassa resistenza interna della 6H30 assicura un pilotaggio energico del carico in modo diretto senza ricorrere ad artifici circuitali che vadano oltre la semplice adozione di uno stadio con uscita catodica (ad anodo comune). Alcuni costruttori, ad esempio Balanced Audio Technology, evitano addirittura l'uso di questo ulteriore passaggio del segnale, indirizzando all'uscita direttamente il segnale prelevato dall'anodo del primo tubo, che in tal caso diventa l'unico della catena: entrambe le topologie, sulla carta, sono estremamente valide e l'una risulta migliore o peggiore dell'altra in funzione del risultato sonico che si desidera raggiungere. Allora, tirando le somme, la valvola 6H30 è la soluzione ai problemi progettuali dei preamplificatori? Ai calcoli ed alle misure saremmo tentati di dire sì. E allora perché non vi è tra i costruttori una plebiscitaria adozione di tale componente? Il motivo di ciò è presto detto: il suono del tubo in esame è particolare ed anche facilmente individuabile, grazie ad una sua impronta caratteristica che non sempre viene accettata come il non plus ultra; il basso fornito dalla 6H30 è indubbiamente di grande e piacevolissimo impatto, seppure non sempre articolato come si vorrebbe, ma la gamma alta purtroppo difficilmente è all'altezza della restante parte dello spettro e questa limitazione non rende l'oggetto ben accetto a tutti i progettisti. Si badino bene a tal proposito due cose: la prima è che la valvola perfetta non esiste e pertanto una scelta diversa potrebbe essere vantaggiosa su certi parametri, ma molto probabilmente inferiore su certi altri; in secondo luogo la circuitazione conta quanto il tubo impiegato, anzi certamente di più. In buona sostanza è il progettista che deve riuscire a esaltare le doti del componente attivo prescelto e stemperarne i difetti. Il tecnico della Klimo ci è riuscito? Non spetta a noi esprimere tale giudizio, ma a chi ha testato attentamente il prodotto sotto il profilo sonico, ed è a lui che lasciamo il peso e la responsabilità che una valutazione sempre comporta.

LA FILOSOFIA DELLO STADIO ALIMENTATORE
Mentre lo stadio di amplificazione, pur non essendo certo tirato via, non ha riservato alla nostra analisi vere e proprie sorprese, diverso è il caso della sezione alimentatrice. Infatti, in questo apparecchio, al classico raddrizzamento valvolare, fa seguito un interessante circuito di stabilizzazione, pur esso valvolare: la vera e propria novità consiste nelle scelte operate per la sua implementazione. Il costruttore non ha voluto adottare un regolatore serie di tipo classico perché esso, a fronte di una contenuta resistenza interna e di una eccellente stabilizzazione contro le fluttuazioni lente di rete, difficilmente possiede una capacità di intervento rapida, costituendo pertanto un cattivo filtro alle perturbazioni veloci ed alle armoniche più alte, generate dal raddrizzamento. Inoltre, viene asserito da più parti, e noi tendiamo fortemente a condividere tale parere alla luce di alcune prove eseguite in proposito, che l'anello di controreazione interno, adottato da questo tipo di circuiti per la regolazione, può, nel correggere le fluttuazioni di rete, provocare intermodulazione tra queste ed il segnale audio. Dunque, volendo inserire un filtraggio elettronico, ma scartata l'ipotesi di adottare quello di tipo serie, il circuito prescelto non può che essere quello di uno stabilizzatore di tipo parallelo, dove l'isolamento dalla rete e dalle spurie del raddrizzamento è assicurato da un generatore di corrente, posto in serie alla linea di alimentazione, seguito da uno zener di potenza derivato in parallelo. In Fig.2 vi è lo schema di principio. La stabilizzazione e l'isolamento del carico dalle componenti alternative, presenti ai capi di C, è assicurata dall'impedenza dinamica virtualmente infinita del generatore di corrente e dall'impedenza dinamica virtualmente nulla del diodo zener, posto in uscita. Questa è la teoria della stabilizzazione di tipo parallelo; nella realizzazione pratica implementata da Klimo, sono state adottate delle significative variazioni rispetto al modello matematico. La prima di queste consiste in una semplificazione che però, in realtà, non compromette più di tanto l'efficacia del sistema: il generatore di corrente è stato sostituito da alcune resistenze; le prestazioni non vengono però penalizzate, poiché sono state saggiamente introdotte delle capacità verso massa, che costituiscono in tal modo delle utili celle di filtro a pi greco. Interessante, davvero molto interessante, è il modo nel quale è stato ottenuto lo zener: piuttosto che utilizzare numerosi diodi regolatori, posti in serie per raggiungere la tensione necessaria, congiuntamente alla dissipazione richiesta, è stata impiegata una valvola, precisamente la ECC81, per implementare un diodo zener virtuale con caratteristiche, soprattutto in termini di rumore, di gran lunga migliori rispetto a quelle ottenute con le configurazioni classiche. Non neghiamo che, seppure nemmeno questa soluzione circuitale sia realmente originale (ma ne esiste poi, al giorno d'oggi, una che possa davvero vantare, a pieno titolo, tale etichettatura?), è stata probabilmente la scelta operata dal progettista che abbiamo trovato più intrigante.
Prima di concludere il paragrafo, segnaliamo, sebbene difficilmente guardando la foto dell'interno dell'alimentatore sarebbe potuto sfuggire all'appassionato, che tutta la realizzazione è dual mono; pure il cabinet dell'alimentatore contiene due unità, completamente separate anche nei cavi di congiunzione alla sezione amplificatrice, la qualcosa impreziosisce l'oggetto, e non di poco.

LA COMPONENTISTICA
Prima di concludere la nostra analisi, ci sembra giusto dedicare due parole per commentare la componentistica impiegata nel Klimo Parsifal. Essa è stata scelta seguendo una filosofia precisa: con la sola eccezione del controllo di volume, che è il modello top della Alps, quello blindato in ottone, che equipaggia le migliori realizza- zioni a livello mondiale e che molto probabilmente costituisce l'unica vera alternativa al commutatore a scatti, tutte le parti utilizzate per assemblare l'insieme sono di tipo industriale.
Dunque niente condensatori avvolti dalle candide mani di una giovane vergine nelle notti di plenilunio, niente di spaziale realizzato su specifiche, spesso solo una favoletta da dare in pasto agli audiofili più creduloni e sprovveduti (che fortunatamente sono sempre meno numerosi), ma concreti prodotti di grandi aziende, però selezionati con cura, questo sì.
E tale filosofia, come dicevamo, informa tutta la realizzazione, testimoniando così la estrema coerenza del costruttore. Non possiamo negarlo: questo modus operandi, sarà pure poco esoterico e non consentirà troppi voli di fantasia, ma ci trova pienamente d'accordo.

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